Il “Grindadráp“, come è chiamata dagli abitanti delle Isole Fær Øer, è una pesca storica locale. Si ripete da secoli ed è aperta a tutti. Le vittime: balene dal naso a bottiglia e delfini atlantici.
Si tratta di un massacro bello e buono nei confronti dei globicefali, dei cetacei costretti con navi, sonar e chi più ne ha più ne metta a nuotare in branco verso la riva, dove ad attenderli ci sono centinaia di “cacciatori” pronti a decapitarli per collezionarne la carne, anche se ormai è diventata solo una macabra tradizione, uno sfogo per della gente frustrata legata a tradizioni da trogloditi, utile a sentirsi virili massacrando delle bestie indifese.
La cosa più angosciante di tutto ciò è che questi individui sono protetti dalla marina Danese, che addirittura arresta chi prova a fermare tutto ciò. E conseguentemente ogni anno, riparte la polemica tra associazioni e politici animalisti e la maggior parte dei faroesi che considera questa caccia irrinunciabile. Gli abitanti pensano che vada mantenuta in quanto tradizione molto antica, secolare. Mi chiedo cosa ci sia di tradizionale in un usanza che macchia letteralmente il mare di rosso senza alcuna pietà e compassione per questi animali indifesi.
Le Isole Fær Øer, attraverso la Danimarca, ricevono peraltro sussidi dall’Europa e non è accettabile che nonostante le leggi e le convenzioni europee che vietano pratiche di questo tipo la “Grindadrap” continui a svolgersi. Nell’appello presentato ai paesi membri voglio evidenziare anche come l’Italia si è sempre espressa “in tutte le sede internazionali contro la caccia alle balene e per la difesa di grandi cetacei”.
Claudio Lauretti
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